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mercoledì 2 dicembre 2009

Usitalia

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Nel 2000 Silvio Berlusconi ancora non era stato eletto premier per la seconda volta. Mi correggo: Silvio Berlusconi non è mai stato eletto premier, in Italia non esiste il premierato, dal momento che non esiste neppure l'elezione diretta del Presidente del Consiglio. Per dire, potrebbero vincere i Radicali col 99% e dare il Governo in mano a me. No a me no perché non ho una certa età, se non erro almeno cinquant'anni o una cosa del genere, anche se non ci spieghiamo il perché.

E' il Presidente della Repubblica che investe della Carica il Presidente del Consiglio dei Ministri, il resto è prassi. In realtà sarebbe prassi anche che il Presidente della Repubblica sciogliesse le Camere, il Governo e indicesse nuove elezioni qualora il Presidente del Consiglio dovesse per caso andare a donnine, minorenni, fosse indagato per corruzione, e altre decine di casi dai quali con una legge apposita stesse cercando di svicolare. Se succedesse una sola di queste cose qua.

Insomma, nel 2000 questo secondo sciagurato Governo con Silvio Berlusconi Presidente del Consiglio non era ancora in essere, ci crogiuolavamo nell'onanismo di una bicamerale vergognosa. Ci stavamo mettendo del tempo, forse un po' più del previsto, ma stavamo già creando un paese a uso e costume dei Fabrizio Corona, a stonare erano gli altri. Stefano Benni proprio nel 2000, in tempi maturi ma niente affatto sospetti, scriveva queste cose qui e vi consiglio di prendervi cinque minuti per leggerle, poi fate come vi pare:
Il paese esprime sempre una volontà di cambiamento, e questa è la miglior garanzia dell'immutabilità politica. Basta non cambiare mai, di modo che il popolo possa continuare a esprimere la sua volontà di cambiamento. Perciò in Usitalia si era deciso che tutti dovevano assomigliarsi, virtuosi e gangster, modernisti e passatisti, moderati e moderisti. Decine di facce promettevano, incominciavano, interrompevano, ribadivano le solite cose, dentro e fuori gli schermi, e in quel rutilante scorrere di nulla ogni cittadino trovava le sue ragioni e subito le dimenticava, e gli restava dentro solo l'eco di un disagio rabbioso. Così il Reame del Gangster Catodico e dei suoi maggiordomi neri e rosa, sembrava volere le stesse cose del Misterioso Grande Centro o del Monastero dei Beati Progressisti, identiche erano le orazioni, i rosari e le parolacce, identica la miseria di idee e la sudditanza ai forti. Chi aveva idee, in quel paese, se le portava addosso da solo, come una gerla, e le scambiava coi passanti. Per il resto, lotte da città a città e da ducato a ducato, tenzoni proporzionali e maggioritarie, fulmineo scorrere di risse e insulti poi trasformabili in alleanze e bicamerali con bagno, promesse d'odio eterno ed eterni compromessi, e poi referendi e tradimenti e rimpasti e ribollite e ribaltoni e insulti alla storia, alle vittime, ai deboli. Si demandava ai magistrati di giudicare quello che spetta a ogni coscienza civile: se ai potenti sia concesso qualsiasi reato e delitto. Sì, era la risposta, e ogni dignitoso sogno aveva abbandonato le anime di quel popolo, lasciandoli lieti di affidare la loro libertà a gangster e mafiosi, e sentirla minacciata dal mendicante all'angolo. La loro indignazione aveva respiro meno che settimanale, e durava più per un rigore non concesso che per un delitto non svelato. Sì, senza coscienza civile, senza storia, senza giustizia, la vita in quel paese aveva il lento scorrere di un funerale.

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