mercoledì 28 aprile 2010
Natura morta
Cosa c'è dietro il sisma nello Yushu? Perché il regime cinese lo tiene nascosto, impedisce l'accesso a giornalisti e fotografi alle aree colpite dal sisma, decurta vergognosamente il numero delle vittime e dei senzatetto, parla di sabotaggio di fronte ai tentativi di soccorso dei monaci accorsi dal Tibet?
Lo Yushu è una prefettura autonoma, abitata per la quasi totalità da tibetani. La capitale, Gyêgu, è la città santa dei tibetani ed è ormai rasa al suolo. Non meraviglia quindi che il regime cinese abbia ben poco interesse a pianificare i soccorsi ed una ricostruzione. Nessuno si stupisce del fatto che il governo conti meno di cento vittime tra i monaci della regione, che invece sostengono di aver avuto più di mille perdite, e che il numero totale dei morti è secondo le stime ufficiali di Pechino di meno di duemila persone (pare invece che siano più di ventimila). La temperatura nelle aree colpite dal sisma oscilla tra i -10°C e i 10°C, il che se da un lato serve quantomeno a scongiurare momentaneamente il rischio di epidemie, dall'altro rende vana la speranza di trovare superstiti e ancor più difficoltosi i soccorsi, già ostacolati dal governo.
La gente scava con le mani giorno e notte, va in cerca di avvoltoi per far passare i morti alla vita successiva e brucia i cadaveri quando i pesci e i rapaci non sono abbastanza. I tibetani dello Yushu sono fantasmi che non hanno un futuro. Il governo cinese ha inizialmente accolto il sisma con favore e ha procrastinato i soccorsi fino al limite del sostenibile, d'altra parte teme che il delay negli aiuti contribuisca a scatenare una nuova rivolta tibetana come quella di qualche anno fa. Per questo la propaganda nazionalista è incessante tra la gente disperata e stremata. Lo Yushu corre il rischio di diventare natura morta e un regime di piranha ne spolpa la popolazione fino all'osso lasciando le cose scivolare.
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